Nel 1940 l’obiettivo di Mussolini era di avere un nemico da sconfiggere in modo da poter avviare la cosiddetta "guerra parallela" alla Germania; egli,
infatti, voleva dimostrare a Hitler (che prendeva le decisioni sull’andamento della guerra senza preventivamente consultarlo) che l'Italia doveva essere
considerata potenza militare, politica ed economica di uguale importanza a quella tedesca. Per poter raggiungere il suo scopo, però, aveva bisogno di un
avversario militarmente alla sua portata.
Questo avversario sembrava essere la Grecia (governata dal dittatore Joannis Metaxas) in quanto era geograficamente vicina e sembrava avere forze armate
deboli, una classe politica poco disposta a battersi e una popolazione poco interessata agli eventi nazionali. Inoltre vi erano già da un po’ dei motivi
di contrasto con i greci:
- All’inizio della prima guerra mondiale gli stati dell’Intesa avevano promesso a Grecia ed Italia delle sfere
d'influenza nelle stesse zone dell’Asia Minore, ma, durante i trattati di pace finali, i greci erano riusciti ad ottenere
larghissime concessioni tutte a danno degli italiani;
- Vi era l’occupazione italiana dell’Albania (8 aprile 1939); essa era sgradita ai greci che consideravano invece
ellenica tutta la sua zona meridionale fino ad Argirocastro. Essi temevano, soprattutto, che questa occupazione fosse
l’ultimo passo prima di un attacco vero e proprio alla Grecia stessa; nella politica di Mussolini, infatti, c’erano un
progetto per la conquista di Corfù e uno per l’occupazione dell’Epiro. Entrambi i piani però erano stati
studiati solo superificialmente senza mai essere approfonditi;
- Vi era la questione del Dodecaneso, conquistato dagli italiani in seguito alla guerra con la Turchia ma abitato da
una popolazione prevalentemente greca.
Il 16 agosto 1939 Mussolini, adirato per il fatto che i greci cercassero la protezione dell’Inghilterra dopo l’occupazione italiana dell’Albania, ordinò
al capo di Stato maggiore Generale, Pietro Badoglio, di elaborare un piano per l’invasione della Grecia. Il generale Alfredo Guzzoni, a sua volta
incaricato della cosa, lo mise a punto in soli tre giorni, riadattando un vecchio piano da lui stesso preparato; in questo piano si prevedeva l’utilizzo
di 18 divisioni (divise in 6 corpi d’Armata) di cui 12 avrebbero puntato su Salonicco, tre su Gianina e tre avrebbero presidiato la frontiera con la
Jugoslavia. Guzzoni, però, per attuarlo chiedeva almeno un anno di preparazione e la presenza di tutte le divisioni richieste in Albania prima dell’attacco
nonché lavori alle strade e ai porti. L’allora sottosegretario alla Guerra Alberto Pariani consigliò che le 18 divisioni previste fossero incrementate a
venti.
Già l’11 settembre 1939, però, Mussolini, che cambiava continuamente idea, fece sapere all’ambasciatore italiano ad Atene Emanuele Grazzi che “La Grecia
non è sulla nostra strada e noi non vogliamo nulla dalla Grecia. Ho piena fiducia in Metaxas che ha riportato l’ordine nel suo paese” . Il 20 settembre
ribadiva a Guzzoni che “della guerra contro la Grecia non se ne fa più nulla. La Grecia è un osso spolpato, e non vale la pena che perdiamo anche uno
solo dei nostri granatieri di Sardegna” . Nonostante le assicurazioni italiane, la Grecia non si sentiva tranquilla ed il generale Papagos cominciò a
prendere delle misure volte a contenere un eventuale attacco italiano.
Quando l’Italia entrò in guerra, Mussolini rivolse ai paesi neutrali un appello: “Io dichiaro solennemente che l’Italia non intende trascinare nel
conflitto altri popoli con essa confinanti per terra e per mare. Svizzera Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole. Dipende
da loro e soltanto da loro se esse saranno o no rigorosamente confermate” . Metaxas credette alla sua buona fede di Mussolini e, incontrando Grazzi, gli
confermò che “la Grecia è fortemente decisa a conservare la più stretta neutralità” e che “la Grecia è decisa a difendersi con le armi e l’Inghilterra è
stata informata di tale decisione” . A gettare benzina sul fuoco ci pensò il governatore delle isole italiane nell’Egeo, De Vecchi, che continuava ad
inviare a Roma segnalazioni che gli aerei inglesi usavano la Grecia per rifornire le proprie navi.
Mussolini si infuriò e la propaganda italiana iniziò ad indirizzare l’opinione pubblica verso una possibile azione militare contro la Grecia fornendo
prove e accuse circa la non buona fede dei greci che, a parole, dicevano neutralità assoluta e, nei fatti, aiutavano gli inglesi. Ovviamente tutto questo
non era vero ma serviva a trovare una giustificazione per scatenare il conflitto.
Il ministro degli esteri tedesco Ribbentrop non voleva assolutamente che scoppiasse un conflitto con un paese amico quale era la Grecia perché temeva, ed
a ragione, che questo avrebbe aperto le porte ad un intervento inglese e quindi ad un insediamento di forze britanniche nel sud dell’Europa con la
conseguenza di rendere più pericoloso il Mediterraneo. Ciano rispondeva a Ribbentrop che “con la Grecia stiamo portando la vertenza su un piano
diplomatico e ci limitiamo a rinforzare con altre divisioni le attuali sei che presidiano l’Albania” .
Il 4 ottobre Hitler e Mussolini si incontrarono al Brennero ed il Führer gli ribadi’ la sua contrarietà a un intervento italiano nei Balcani; secondo le
sue previsioni, infatti, i nazisti avrebbero presto invaso l’Inghilterra e la pace sarebbe tornata in Europa. Mussolini, rassicurato, decise di sospendere
i piani d'invasione.
L’11 ottobre i tedeschi informarono Mussolini di aver accolto la richiesta di protezione del governo rumeno inviando proprie truppe a difesa del bacino
petrolifero di Ploesti. Un'ennesima iniziativa militare fu quindi presa da Hitler senza consultare il Duce. Mussolini era indignato: "Hitler mi mette
sempre di fronte al fatto compiuto. Questa volta lo pago della stessa moneta: saprà dai giornali che ho occupato la Grecia. Così l'equilibrio verrà
ristabilito” . Fu in quei giorni che l'idea di attaccare la Grecia prese definitivamente corpo; la decisione fu favorita anche da altri motivi: il
regime era in declino, la guerra si stava prolungando più di quel che si prevedeva e i risultati erano ben al di sotto delle aspettative. La battaglia
sulle Alpi con la Francia e la guerra in Africa con l’Inghilterra, infatti, si stavano rivelando un insuccesso e c’era quindi un bisogno estremo di un
successo militare che facesse tornare la fiducia all’opinione pubblica.
Il 15 ottobre il Duce convocò una riunione a Palazzo Venezia: erano presenti Ciano, Badoglio (capo di Stato Maggiore Generale), Jacomoni (ambasciatore in
Albania), Soddu (sottosegretario alla Guerra), Visconti Prasca (comandante delle truppe in Albania) e Roatta (sottocapo di Stato Maggiore). Erano assenti,
invece, Cavagnari e Pricolo, rispettivamente capo di Stato Maggiore della Marina e dell'Aeronautica. In questa riunione venne decisa, in maniera del tutto
inadeguata, la futura campagna di Grecia. Il Duce disse che “Lo scopo di questa riunione è quello di definire le modalità dell’azione (nel suo carattere
generale) che ho deciso di iniziare contro la Grecia. Questa azione, in un primo tempo, deve avere obiettivi di carattere marittimo e di carattere
territoriale. Gli obiettivi di carattere territoriale ci debbono portare alla presa di possesso di tutta la costa meridionale albanese, quelli cioè che ci
devono dare la occupazione delle isole ioniche (Zante, Cefalonia, Corfù) e la conquista di Salonicco. Quando noi avremo raggiunto questi obiettivi, avremo
migliorato le nostre posizioni nel Mediterraneo nei confronti dell’Inghilterra. In un secondo tempo, o in concomitanza di queste azioni, l’occupazione
integrale della Grecia, per metterla fuori combattimento e per assicurarci che in ogni circostanza rimarrà nel nostro spazio politico economico.
Precisata
così la questione, ho stabilito anche la data, che a mio parere non può essere ritardata neanche di un’ora: cioè il 26 di questo mese. Questa è un’azione
che ho maturata lungamente da mesi e mesi; prima della nostra partecipazione alla guerra e anche prima dell’inizio del conflitto... Aggiungo che non vedo
complicazioni al nord. La Jugoslavia ha tutto l’interesse di stare tranquilla... Complicazioni di carattere turco le escludo, specialmente da quando la
Germania si è impiantata in Romania e da quando la Bulgaria si è rafforzata. Essa può costituire una pedina nel nostro gioco, e io farò i passi necessari
perché non perda questa occasione unica per il raggiungimento delle sue aspirazioni sulla Macedonia e per lo sbocco al mare...” .
La gelosia tra le varie forze armate contribui’ al fallimento dell’impresa; infatti, fin dall'inizio, l'Esercito aveva la presunzione di fare tutto da
solo, lasciando all'aviazione e alla marina ruoli secondari, tanto da non metterli neppure al corrente di quello che si andava preparando. Il risultato
fu che la marina si trovò in difficoltà nell'organizzare in fretta e furia il trasporto delle truppe e la protezione dei convogli, mentre l'aeronautica
dovette allestire in fretta dei campi di volo in Albania (che risultarono praticamente sempre impraticabili) in modo da potervi schierare gli aerei
necessari.
Hitler venne tenuto all'oscuro di tutto per precisa scelta di Mussolini che voleva avere una vittoria solo italiana da mettergli sotto il naso nel loro
prossimo incontro.
Nessuno dei presenti alla riunione osò opporsi alla decisione di Mussolini di invadere la Grecia. Nessuno si assunse la responsabilità delle proprie
opinioni e tutti puntarono sulla facile vittoria.
I greci, intanto, di fronte alla politica ostile del governo italiano, non se ne stettero con le mani in mano e iniziarono a mobilitare le loro forze
armate. Erano in una situazione difficile poiché, oltre alla possibilità di un attacco italiano, dovevano fronteggiare anche la minaccia bulgara che
rivendicava da tempo uno sbocco sull'Egeo. Metaxas non volle assumere atteggiamenti che potessero essere considerati provocatori: la mobilitazione fu
massiccia, ma, mediante un abile stratagemma, riusci’ a mascherare la preparazione in corso.
Non era comunque facile per loro predisporre un piano difensivo: infatti la morfologia del paese, per un terzo insulare e con migliaia di chilometri di
coste, avrebbe causato una gran dispersione di forze. Ma l'insistenza con cui l’Italia fomentava l’irredentismo ciamuriota e il continuo parlare degli
sbarchi di truppe in Albania indicarono ai greci, come molto probabile, un'azione militare nemica verso l'Epiro e, di conseguenza, il loro dispositivo
difensivo si organizzò in tal senso. L'Italia preparò, quindi, la sua guerra preavvertendo l’avversario delle sue mosse ed indicandogli addirittura il
luogo dell'attacco, rinunciando in partenza alla sorpresa. Segreto e rapidità evidentemente erano doti sconosciute al nostro governo ed ai nostri vertici
militari.
Gli schieramenti
In Albania vi erano solo otto divisioni italiane (più alcuni reggimenti), che vennero inquadrate in quattro nuclei sotto il comando di Sebastiano Visconti
Prasca:
- Il XXV Corpo d'Armata "Ciamuria" (25.000 uomini), comprendente una divisione corazzata e due divisioni di fanteria, con il compito offensivo di penetrazione
in Epiro;
- Il XXVI Corpo d'Armata (43.000 uomini), composto di quattro divisioni di fanteria, con compiti prevalentemente difensivi lungo il confine della Macedonia
occidentale;
- La divisione alpina "Julia" (10.000 uomini), attestata a ridosso della catena montuosa del Pindo, a cerniera dello
schieramento tra i due Corpi d'Armata;
- Il "Raggruppamento del Litorale" (5.000 uomini), schierato lungo la costa, composto di due reggimenti di cavalleria, uno di artiglieria, uno di Granatieri
di Sardegna ed un battaglione di Camicie Nere. In pratica, un'altra divisione.
L’Italia dispone, in totale, di circa centomila uomini, alle cui spalle vi erano linee di comunicazione difficili via mare. Il nemico, invece, era ben
organizzato: aveva già mobilitato le sue forze, era stato provocato ed aizzato, conosceva le nostre probabili direttrici di marcia e poteva arrivare a
radunare fino a diciotto divisioni.
I due eserciti erano analoghi per armamento ed addestramento. Solo in due settori gli italiani erano superiori: nelle forze corazzate e nella superiorità
aerea. La divisione corazzata (la "Centauro"), però, aveva un organico di 5.000 uomini con 24 pezzi di artiglieria, 8 cannoncini anticarro e 170 carri
leggeri, una forza d'urto quindi molto limitata e nemmeno paragonabile a quelle tedeschi e inglesi. In più i carri, nel pantano fangoso in cui spesso si
sarebbero trovati, servivano a poco o niente.
L’aeronautica in Albania disponeva in tutto di circa 400 apparecchi, molti però inadeguati (come i caccia Cr32) e scarsamente efficienti. Comunque, nel
complesso, di fronte ad un'aviazione debole come quella greca, quella italiana poteva considerarsi agguerritissima.
Anche a livello di marine non c’era paragone. La Marina ellenica disponeva di poche ed antiquate unità ed il compito di contrastare la Regia Marina era
tutto nelle mani degli inglesi. L'apporto della marina italiana, però, in una guerra prevalentemente terrestre, si rivelò modesto per due motivi: il primo
fu la decisione di non effettuare uno sbarco nell'isola di Corfù, rinunciando a quella che sarebbe stata forse l'unica mossa azzeccata dell'intera campagna;
il secondo fu l'insufficiente capacità di sbarco dei porti albanesi. Oltre a questo, i problemi furono aggravati dalla scarsità di naviglio mercantile e
dalla disorganizzazione generale delle forze armate.
Da parte greca, in totale, erano schierati 53 battaglioni (sotto il comando del generale Alexandros Papagos), di cui 20 fra il lago di Prespa e il monte
Grammos, 3 sul Pindo, 19 in Epiro e 11 di riserva. In Macedonia, invece, si stava completando il dispiegamento di una divisione di cavalleria, della 1ª
divisione di fanteria e della 5ª brigata.
L’offensiva italiana
Alle 3 del mattino del 28 ottobre 1940 l’ambasciatore italiano ad Atene Emanuele Grazzi consegnò l’ultimatum al dittatore greco Metaxas; esso conteneva
l'accusa alla Grecia di essere venuta meno al suo status di nazione neutrale e di schierarsi apertamente con l'Inghilterra; si esigeva anche di occupare,
per tutta la durata del conflitto, alcune zone del territorio greco, ritenute di importanza strategica, con lo scopo di impedire agli inglesi il controllo
del Mediterraneo. Metaxas chiese a Grazzi quali fossero questi punti strategici ma il diplomatico ammise, con un certo imbarazzo, che non li
conosceva...(!).
Ci fu anche un tentativo di corrompere alcuni uomini politici greci (con uno stanziamento di circa sei milioni di lire) ma questo falli’ e non diede
risultati concreti.
"Donc, c'est la guerre" rispose il dittatore greco e, alla fine, respinse sdegnosamente l’ultimatum.
Prima dell’inizio dell’attacco italiano Metaxàs andò dall’ambasciatore inglese perché inoltrasse all’ammiraglio Cunningham la richiesta di schierare la
flotta a difesa di Corfù e del Peloponneso; egli infatti temeva uno sbarco italiano in questa zona dato che la resistenza che avrebbe potuto contrapporre
sarebbe stata molto debole.
L’offensiva di Mussolini iniziò alle 6 del mattino del 28 ottobre. Cinque ore più tardi Mussolini e Hitler si incontarono alla stazione Santa Maria Novella
di Firenze. Solo quando fu a Bologna il Fuhrer apprese “dai giornali”, come voleva Mussolini, dell’attacco italiano in Grecia.
Sul fronte dell’Epiro l’offensiva doveva svolgersi facendo avanzare le ali: a sinistra la divisione "Julia" doveva risalire la Voiussa e raggiungere il
passo di Metsovo per separare le truppe greche dell'Epiro da quelle della Macedonia; a destra il Raggruppamento del litorale doveva puntare su Prevesa in
modo da creare l’impressione di un accerchiamento; al centro, invece, la "Ferrara" doveva dirigersi verso Gianina e la "Siena" verso Filiates; infine, una
parte della "Centauro”, insieme alla "Ferrara", doveva attaccare il nodo di Kalibaki.
Sul versante sinistro la divisione "Julia" partì decisamente verso il passo di Metsovo, distante oltre 80 km. Alle basi di Erseke e Leskoviku furono
lasciati corredo, bagagli, cucine ufficiali, oggetti di equipaggiamento, e portati al seguito viveri per soli cinque giorni. Il terreno reso fangoso dalle
piogge incessanti, l'attraversamento del fiume Sarandaporos in piena e la resistenza di alcuni reparti greci ritardarono l'avanzata italiana.
Alla fine del 28 ottobre i battaglioni Gemona e Cividale dell'ottavo Reggimento occuparono il monte Stavros mentre, il giorno 31, l'ottavo Alpini si
impossessò del nodo di Furka ed il nono raggiunse le pendici dello Smolika. I soldati italiani dovevano affrontare marce dure, freddo intenso e piogge
fitte; l’artiglieria non riusciva a tenere il passo della fanteria e l’aviazione non potè intervenire nella battaglia.
Con l’occupazione del monte Stavros, per i greci si creava una minaccia di separazione delle forze schierate sul Pindo da quelle schierate nella Macedonia
occidentale; ordinarono, quindi, l’afflusso sul Pindo di tutte le truppe più vicine per prepararle alla difesa della Tessaglia lungo la direttrice Gianina
– Metsovo - Trikkala.
Nel settore macedone gli italiani non si mossero e stettero sulla difensiva.
Sul versante destro, invece, il Raggruppamento del litorale e la divisione "Siena" raggiunsero in poche ore il fiume Kalamas che, con il fondo melmoso,
le forti correnti e le sponde ripide, si rivelò inguadabile. Solamente il 5 novembre riuscirono a essere gettati due ponti con cui far passare le due
unità e stabilire un collegamento regolare tra le due sponde; alla fine, nel tardo pomeriggio del 7, il Kalamas fu oltrepassato e gli italiani formarono
un’ampia testa di ponte che andava da Varfani al mare.
Il 3° granatieri procedette verso sud e i lancieri "Aosta" e "Milano" si spinsero fino a Paramithiá e Margariti. Il giorno 7, però, venne loro ordinato di
fermarsi, sostare sul Kalamas e rientrare all’interno della testa di ponte.
Questo ordine di ripiegamento era dovuto allo sfavorevole andamento delle operazioni al centro dove il corpo d'armata “Ciamuria” aveva attaccato insieme
alla "Ferrara" e alla "Siena" (tenendo di riserva la "Centauro").
Una colonna della "Ferrara" si impossessò del Ponte di Perati prima che i greci lo facessero saltare e gli altri reparti di fanteria lo attraversarono per
procedere oltre, ma le strade interrotte, i ponti distrutti e la resistenza dei greci rallentarono la marcia e spezzettarono le colonne d'attacco in molti
tronconi ai quali la "Centauro" cedette, poco alla volta, gran parte dei suoi mezzi. Il 31 ottobre il corpo d'armata iniziò a scontrarsi con la linea di
resistenza greca Kalibaki-Kalamas che gli italiani, privi di artiglierie (rimaste attardate per i trasporti resi difficili dal terreno pantanoso dovuto
alle continue piogge), all’inizio non riuscirono a sfondare.
Il contrattacco greco
Il primo di novembre iniziò l’offensiva greca in Macedonia occidentale. Gli obiettivi del generale Papagos erano raggiungere la linea del Devol e la piana
di Coriza. I greci attaccarono alle 8 del mattino: in caso di conseguimento degli obiettivi essi avrebbero minacciato tutto lo schieramento italiano
dell’Epiro di accerchiamento. I loro attacchi sostenuti dall’aviazione che si distinse in bombardamenti,mitragliamenti e i ricognizioni sui movimenti
delle truppe italiane. La divisione alpina Julia venne attaccata da sette divisioni greche nei pressi del passo di Metsovo. Le divisioni Parma, Piemonte,
Venezia e Arezzo (le ultime due arrivate dal confine iugoslavo) furono anch'esse travolte.
La divisione "Bari" sbarcò a Valona con organici ridotti ma, invece che nel Corciano dov'era destinata, dovette impegnare i suoi battaglioni, man mano che
arrivavano, nel tentativo di tamponare la falla che stava per aprirsi nella zona Erseke-Leskoviku-Konitsa. Anche la minuscola marina ellenica effettuò, sul
basso Kalamas con un paio di piccole unità, il bombardamento di truppe italiane.
Il giorno 8, di fronte alla grave situazione che si era venuta a creare, il comando italiano diede l’ordine di ritirata. Le comunicazioni non funzionarono
a dovere e la Julia viene sopraffatta da tre divisioni. I greci iniziavano ad entrare in territorio albanese e gli italiani non avevano riserve tattiche e
strategiche.
Il 10, dopo aver commentato che "le cose non sono andate come si poteva pensare e come ci avevano fatto sperare il Luogotenente Generale per l'Albania e
il generale Visconti Prasca" , Mussolini inviò in Albania il generale Ubaldo Soddu a sostituire lo stesso Visconti Prasca. Il 30 dello stesso mese
quest’ultimo fu posto in congedo assoluto.
Soddu dovette riconoscere che l'offensiva era fallita e che il numero di truppe destinate alla campagna era inconsistente; inutili si rivelarono le sue
speranze di mantenere, in Epiro, la testa di ponte oltre il Kalamas a destra e la zona Kalibaki-Konitsa a sinistra. Telegrafò a Roma che "Nostro attacco
può ritenersi arrestato da resistenza nemica. Inutile sperare raggiungimento obiettivo senza altre divisioni" .
Un altro colpo negativo che l’Italia dovette subire per l’andamento del conflitto avvenne la notte dell'11 novembre quando un attacco di una ventina di aerosiluranti inglesi Swordfish
(decollati dalla portaerei inglese Illustrious) mise fuori combattimento tre corazzate italiane (Littorio, Duilio e
Cavour) ancorate nel porto di Taranto. La stessa notte, inoltre, un gruppo di incrociatori e cacciatorpediniere britannici affondò quattro navi mercantili
nel Canale di Otranto.
Il 14 novembre i greci sferrarono una nuova offensiva. Papagos, infatti, ormai sicuro di avere arrestato la spinta italiana, aveva raccolto le sue forze
per attaccare uno schieramento avversario molto sparpagliato su un ampio fronte. Il primo corpo era dislocato in Epiro, il secondo sul Pindo e il terzo nel
Corciano. Di riserva vi erano 3 divisioni e una brigata di fanteria. Il primo corpo attaccò su tre direttrici, esattamente verso Ponte Perati, verso Kakavi
e sul basso Kalamas, il secondo corpo si impadronì della zona Erseke Leskoviku ed il terzo aggirò il massiccio del Morova conquistando, il 22 novembre,
Coriza.
L’offensiva greca mise in evidenza la disorganizzazione dei comandi italiani e la confusione delle retrovie; i servizi logistici erano carenti, mancavano
viveri, medicine ed ospedali da campo. Alcuni reparti combatterono rabbiosamente, altri rimasero come storditi dal repentino capovolgimento di fronte.
I battaglioni di rinforzo, che man mano affluivano in prima linea, non cambiarono le sorti dei combattimenti ed i greci avevano riserve a sufficienza per
mantenere il predominio. Mussolini cercò di risollevare il morale di un'opinione pubblica sempre più sgomenta, affermando, il 19 novembre in un famoso
discorso alla radio, che le "Le aspre montagne dell'Epiro e le loro valli fangose non si prestano a guerre lampo come pretenderebbero gli incorruttibili
che praticano la comoda strategia degli spilli sulle carte. Nessun atto, o parola mia i del governo l'ha fatto prevedere. Non credo che valga la pena di
smentire tutte le notizie diramate dalla propaganda greca e dai suoi altoparlanti inglesi. .. C'é qualcuno fra di voi, o camerati, che ricorda l'inedito
discorso di Eboli pronunciato nel luglio del 1935 prima della guerra etiopica? Dissi che avremmo spezzato le reni al Negus. Ora, con al stessa certezza
assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia" .
Ma il giorno seguente al discorso Soddu dovette far arretrare il fronte ripiegando di una cinquantina di chilometri e lasciando al nemico una grossa fetta
di territorio albanese. L'intero esercito greco avanzò procedendo senza resistenza e recuperando il materiale, tra cui vari carri L3, abbandonato dalle
truppe italiane in ritirata.
Il bollettino di guerra del 22 novembre 1940 ammise praticamente il fallimento della campagna italiana: "Le nostre truppe di copertura, formate da due
divisioni, che, all'inizio delle ostilità si erano attestate sulla difensiva al confine Greco-Albanese di Coriza, si sono ritirate, dopo 11 giorni di
lotta, su una linea ad ovest della città, che è stata evacuata. Durante questo periodo si sono svolti aspri combattimenti. Le nostre perdite sono
sensibili. Altrettante e forse piu' gravi quelle del nemico. Sulla nuova linea si concentrano i nostri rinforzi" .
L'impressione in Grecia e nel mondo fu enorme: i greci festeggiarono tutto il paese, la "grande potenza" era stata sopraffatta da un piccolo paese;
alla Camera dei comuni lord Halifax fece un elogio "all'eroico popolo greco" mentre, nella Parigi occupata, gli strilloni offrirono i giornali gridando
"les grecs à Coriza, les italiens dans la merde"; al confine di Mentone, addirittura, i doganieri esposero un sarcastico cartello che recitava
"Grecs, arretez-vous. Ici France!".
Ormai l’immagine delle forze armate italiane era compromessa. Hitler inviò a Mussolini una lettera nella quale elencava tutti gli errori italiani e scrisse
che l'azione sarebbe dovuta essere "procrastinata a stagione più propizia" . Il Duce fu costretto a rispondere in tono conciliante, giustificando i
primi insuccessi con il "maltempo che ha arrestato la marcia delle forze meccanizzate" , con la "defezione quasi totale delle forze albanesi" e
con "l'atteggiamento della Bulgaria" . In pratica bastarono tre settimane per farlo desistere dai propositi di "guerra parallela" e per farlo
pentire della decisione di aver voluto mettere Hitler di fronte al fatto compiuto.
Il 28 novembre i greci presero anche Pogradec e la crisi militare e politica del regime divenne gravissima.
La testa che cadde in seguito a questa crisi fu quella di Pietro Badoglio il quale, dopo un violento attacco che gli rivolse Farinacci sul suo giornale
“Regime Fascista” e incapace di difendersi dalle accuse, prese quattro giorni di licenza e si ritirò nella sua casa. Scrisse la sua lettera di dimissioni
pensando, in cuor suo, che Vittorio Emanuele III prendesse le sue difese, ma non fu così. Il giorno 29 Mussolini informò il re delle dimissioni di Badoglio
ed egli si trovò d’accordo e non le respinse. Il 4 dicembre, il Duce si incontrò con Badoglio, gli fece un discorso umiliante e poi lo sostitui’ con il
generale Ugo Cavallero.
Papagos, non rendendosi conto delle condizioni in cui si trovavano gli italiani, non intui’ che sarebbe bastato un attacco deciso al centro del loro
schieramento per dividere le lo truppe e puntare quindi su Valona e Tirana. Continuò, invece, effettuando piccoli attacchi (su tutto il fronte) ma non
aveva la forza di sopraffare gli avversari.
La precarietà delle truppe italiane era evidente e il generale Soddu cominciò a pensare di ordinare un ripiegamento generale molto profondo, anche perché
sapeva che l'avversario poteva immettere nuove forze nella battaglia mentre lui non aveva riserve). Dall’Italia arrivarono dei rinforzi (le divisioni
Acqui, Tridentina, Gruppo Alpini Valle Taro, Pusteria) ma questi venivano mandati in battaglia non nella loro unità ma inviando singoli reparti dove si
aveva più bisogno di truppe. Significativo fu quel che accadde alla divisione "Lupi di Toscana": fu lanciata, appena sbarcata e durante una notte di bufera,
contro una formazione nemica che si muoveva in avanti in modo compatto; gli italiani si scompaginarono senza nemmeno rendersi conto di quello che stava
accadendo.
I greci continuavano ad attaccare e gli italiani dovettero indietreggiare ancora di qualche chilometro. Soddu suggeri’ a Mussolini di “cercare una
soluzione per via diplomatica" ma il Duce non ne volle sapere e rispose che "....sarebbe meglio andare tutti in prima linea a farsi ammazzare dai Greci,
piuttosto che trattare con loro un armistizio...." .
Soddu mandò al Capo di Gabinetto alla Guerra una dura lettera che alla fine causò la sua destituzione. Scrisse che "La nostra linea è tenuta da truppe la
cui capacità di reazione è ben scarsa. Da settimane, alcune da mesi, attendono il cambio, sempre promesso, che mai giunge .. Di fronte ad un attacco un po'
nutrito possiamo essere sfondati in qualsiasi punto .. Il continuo precipitarsi quaggiù di "teste" di divisioni, nonché il guaio della "binaria" hanno
fatto sì che l'Albania sia piena di comandi .. senza che in linea esista adeguato numero di combattenti, tanto che io proporrò tra poco che, senza mandarmi
nuove grandi unità, mi si invii un terzo reggimento di divisione .. le truppe in linea sono sfinite, quelle che contrattaccano si logorano prima di essere
al completo .. la linea è rimasta un velo. Se io logoro in contrattacchi le poche forze fresche che ho, chi resisterà poi al nuovo urto?"
Convocato a Roma, Soddu non tornò più in Albania: il suo incarico di comandante delle truppe operanti su quel fronte fu assunto dallo stesso Ugo Cavallero.
Quest’ultimo seppe affrontare la situazione con calma e portò un’ondata di attivismo in uno Stato maggiore demoralizzato; in breve tempo riuscì ad impiegare
organicamente le divisioni che affluivano dall'Italia e a riorganizzare i rifornimenti.
Gli italiani, intanto, decisero di abbandonare una linea che copriva località di notevole valore politico come Permeti e Argirocastro (sgombrate
rispettivamente il 4 e l'8 dicembre) ma che non davano sufficienti garanzie di stabilità.
Il mattino del 9 dicembre lo schieramento italiano si stendeva per 160 km di ampiezza (in linea d'aria) sul margine sud del ridotto meridionale albanese:
lago di Ocrída-Klisura-Himare.
Mentre in Italia il disorientamento era enorme, in Grecia Metaxas era preoccupato: nonostante le vittorie che stava conseguendo sul campo, sapeva in cuor
suo che queste sarebbero state alla fine inutili. Metaxas era malato e sentiva che la vittoria non poteva durare; era certo, infatti, che, prima o poi, i
tedeschi avrebbero aiutato l’Italia e allora la sconfitta sarebbe stata inevitabile; per ora i tedeschi si limitavano solo a fornire una cinquantina di
Ju 52 da trasporto per aiutare gli italiani nel trasporto dei rinforzi in Albania, ma non poteva durare così.
I combattimenti continuarono accaniti: i greci cercavano di raggiungere Berati e Valona ma conseguirono solo successi locali che culminarono, il 25 gennaio
1941, con la conquista di Klisura. Furono anche fermati circa 10 km a sud di Tepeleni. Alla fine di dicembre del 1940 il fronte aveva ormai acquistato un
sufficiente stato di solidità.
Alla fine del 1940 l’esercito greco poteva disporre ancora di una buona superiorità di forze, perché, nonostante avesse praticamente sguarnita la frontiera
con la Bulgaria, schierava sul fronte albanese 14 divisioni di fanteria, 1 di cavalleria e 2 brigate di fanteria. Gli italiani potevano contrapporre,
invece, 12 divisioni di fanteria, 4 alpine e 1 corazzata, anche se bisogna tener presente la minor consistenza delle divisioni che non avevano ricevuto gli
effettivi necessari per rimpiazzare le gravi perdite subite.
Gli italiani, però, avevano iniziato a migliorare le possibilità di sbarco sulle coste dell’Albania. Furono potenziati i porti di Durazzo e di Valona con
la costruzione di pontili e l'invio di chiatte e di zatteroni ed inoltre fu utilizzato anche il piccolo ancoraggio di San Giovanni di Medua.
La media giornaliera di scarico, da meno di 2.000 tonnellate in dicembre, salì a 4.000 in marzo, grazie anche alla sostituzione del personale albanese
totalmente inaffidabile.
La difesa contraerea guadagnò in efficienza e riusci’ finalmente a proteggere i punti di sbarco, mentre la Marina aumentò la sua attività. Dopo il caos
iniziale, i convogli diventarono regolari e poterono assicurare un rifornimento costante.
Vennero di conseguenza, tra novembre e marzo, inviate molte divisioni e, se anche solo la metà di queste fosse stata presente all'inizio del conflitto,
l'andamento della guerra sarebbe stato molto diverso.
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